Descrizione
Buongiorno a tutti e grazie di essere qui.
Oggi festeggiamo la Liberazione dal nazifascismo e la fine di una guerra che per l’Italia ha significato sofferenza, distruzione e morte.
La fine della guerra è uno straordinario momento liberatorio, raccontato da tante foto e canzoni famose, perché nonostante le difficoltà che verranno si è consapevoli che il peggio, probabilmente, è alle spalle.
Proprio per questo, fa ancora più male assistere impotenti al continuo dispiegarsi di tante guerre nel mondo, in particolare a quelle che sembrano non finire mai.
Ovviamente mi riferisco al conflitto in Siria, dove l’attenzione della comunità internazionale è stata prepotentemente richiamata nei giorni scorsi dall’attacco congiunto di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna contro il governo di Bashar al Assad, responsabile di presunti attacchi con armi chimiche.
L’accaduto è ancora tutto da chiarire, visto che gli ispettori Onu nel Paese sono stati accolti a suon di pallottole. Ma credo che nel frattempo si possano fissare alcuni punti fermi per una prima analisi della situazione.
Prima di tutto, se l’utilizzo di armi chimiche sarà confermato, dobbiamo esprimere con fermezza il nostro sdegno, indipendentemente da chi ne ha fatto uso nel corso di questa guerra atroce.
Perché le armi chimiche, osteggiate fin dalla loro creazione a fine Ottocento, sono state ufficialmente vietate in tutto il mondo con un trattato approvato e ratificato anche dall’Italia negli anni Novanta del secolo scorso. Se il diritto internazionale vale ancora qualcosa, quindi, bisogna rispettarlo.
La gravità di questo atto, del resto, non giustifica interventi militari di natura unilaterale. Ricordiamo molto bene quello che è successo in Iraq nel 2003, con l’attacco della coalizione internazionale contro il dittatore Saddam Hussein, accusato di essere in possesso di armi chimiche poi rivelatesi inesistenti.
Non è un caso che all’indomani dell’attacco, il presidente Trump abbia usato le stesse parole di Bush, che nel maggio 2003 – a due mesi dall’inizio di un conflitto che sarebbe durato 8 anni – aveva affermato trionfalmente “Mission accomplished”, “Missione compiuta”.
Oggi il rischio è il ritorno a uno scenario del genere, con la rappresaglia effettuata prima che fossero accertate le responsabilità, al di fuori di ogni legittimazione garantita dall’Onu e quindi dal diritto internazionale.
Con questo ovviamente non si vuole difendere Assad o prendere le parti dello schieramento di forze che lo sostiene, peraltro per ragioni di pura convenienza.
Stiamo pur sempre parlando di un sanguinario, che non ha esitato a bombardare a tappeto la regione del Goutha orientale – nei pressi della capitale Damasco – solo per stanare gli ultimi ribelli rimasti, senza curarsi minimamente delle bombe che cadevano sui civili, dei morti che a centinaia si sono accumulati nel giro di pochi giorni.
Il fatto è che ci sarebbe una terza via, quella diplomatica, di cui nessuno sembra voler tenere conto. E come sempre accade in guerra, ci si trova costretti a schierarsi da una parte o dall’altra, senza riflettere sul fatto che la violenza continuerà a chiamare altra violenza, fino a quando una delle due parti in campo non sarà completamente annientata.
Noi dobbiamo rifiutare completamente questa impostazione, anche perché porterà la Siria a una pacificazione forzata, a una ripartenza mutilata, sotto la guida di un governo non riconosciuto da buona parte della popolazione.
Così come dobbiamo rifiutare il cinismo di chi approfitta di questa situazione per consolidare la propria posizione. Il primato in questo caso va alla Turchia, che ha letteralmente invaso la Siria per “risolvere” alla maniera di Erdogan la questione curda.
I curdi hanno combattuto l’Isis per mesi, anni in cui non era considerato un problema dalle potenze occidentali. Hanno vinto, e nel Kurdistan siriano hanno avviato uno straordinario esperimento di democrazia dal basso, parità di genere, convivenza pacifica tra etnie e religioni differenti.
Non chiedevano nemmeno l’autonomia dallo Stato centrale, come invece hanno fatto i curdi iracheni. Eppure nella città di Afrin sono arrivati i carri armati, e nemmeno quelli di Assad, ma addirittura quelli di Erdogan!
Dopo la Crimea, un’altra invasione di campo che rischia di diventare una vera e propria annessione. E questo accade alle porte dell’Europa, che preferisce tacere purché la Turchia tenga ben sigillati i suoi confini per impedire l’arrivo di nuovi profughi e migranti nel nostro continente.
Anche volendo condividere questa linea – che personalmente considero aberrante, perché dettata solo da interessi economici e geopolitici – ci sarebbe altrettanto da dire su quanti nuovi profughi e migranti produrrà l’invasione del Kurdistan siriano, già provato dopo anni di guerra all’Isis.
Ma siccome non ci può fermare alle lamentele, come amministrazione comunale vogliamo promuovere una riflessione approfondita che possa portare a una protesta simbolica e pacifica della nostra comunità.
Dopo gli incontri informativi organizzati negli ultimi mesi in biblioteca, quindi, vi invitiamo a prendere parte al sit in per la Siria che organizzeremo nelle prossime settimane, probabilmente nella prima metà di maggio.
Sarà un modo per tenere gli occhi aperti su una situazione che ci riguarda, che ci deve riguardare tutti da vicino. Questo però senza dimenticare lo scenario locale, dove permangono elementi di criticità nonostante il passaggio delle elezioni abbia portato a un apparente allentamento delle tensioni sociali.
Dobbiamo continuare a guardarci attorno e creare reti sempre più robuste tra le diverse realtà antifasciste del territorio. È per questo che anche il Comune di Santarcangelo ha scelto di aderire al Coordinamento antifascista della provincia di Rimini, che amplia positivamente la fortunata esperienza del nostro Comitato cittadino antifascista.
Sempre per questa ragione, nei mesi scorsi abbiamo aderito anche all’appello “Mai più fascismi. Mai più razzismi”, promosso da 23 tra associazioni, sindacati e partiti a inizio 2018, che potete firmare anche in questi giorni di iniziative.
Su questo non mi dilungo perché tra i promotori c’è anche l’ANPI, quindi magari Giusi ci dirà qualche parola in più sull’iniziativa, che ha prodotto tra l’altro una manifestazione nazionale molto partecipata lo scorso 24 febbraio a Roma.
Io aggiungo soltanto che gli eventi per il 25 Aprile di quest’anno sono la prima parte di un progetto complessivo – intitolato “Da sudditi a cittadini” – che intende raccontare il percorso di Santarcangelo dalla Grande Guerra alla Costituzione, passando per la Resistenza e la Liberazione.
Un progetto per il quale abbiamo chiesto un finanziamento alla Regione nell’ambito del bando per la Memoria del Novecento, e che andrà avanti fino a novembre 2018. Per ricordare i 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, l’80° anniversario delle leggi razziali fasciste e della guerra civile spagnola, protagonista di una mostra che potete vedere fino a sabato in biblioteca.
Con il progetto “Da sudditi a cittadini” proviamo a raccontare la nascita della nostra Repubblica partendo da lontano, da quella Grande Guerra di cui quest’anno ricorre il centenario dalla conclusione. Un percorso lungo, difficile e non ancora pienamente concluso, come ci ricordano il 40° anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, che ricorre tra due settimane esatte, e la sentenza sulla trattativa Stato-mafia di pochi giorni fa.
Concludo invitandovi a partecipare agli ultimi eventi di queste due settimane dedicate alla Liberazione: oggi pomeriggio la festa per bambini qui al Campo della Fiera e domani sera in biblioteca con la presentazione di due volumi dedicati alla Resistenza.
Grazie a tutti: a Giusi e all’ANPI, ai ragazzi del Molari che parleranno dopo di noi, alle associazioni combattentistiche e al nostro cerimoniere Werter Paesini, alle forze dell’ordine, ai partiti e a tutti voi che siete qui oggi.
Grazie davvero e buon 25 Aprile.
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Ultimo aggiornamento: 27 agosto 2024, 14:17