Descrizione
Buongiorno a tutti.
Il IV Novembre celebriamo la Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate, che ricorre come sapete nel giorno in cui si concluse la Prima Guerra Mondiale, il 4 novembre 1918.
In occasione del centenario abbiamo approfondito i temi legati alla Grande Guerra con numerose iniziative, dalla fine del 2014 all’inizio di quest’anno, concludendo con la consegna delle medaglie-ricordo agli eredi dei caduti.
Proprio ai caduti va il mio primo pensiero, un pensiero commosso per quelle 185 vite spezzate di santarcangiolesi che non sopravvissero a battaglie, malattie, scarsità di cibo e beni di prima necessità.
Dopo tanto tempo, il fatto che il ricordo viva ancora non solo nelle famiglie ma anche nella comunità locale è un segnale, a mio avviso, che il lavoro sulla memoria può dare frutti concreti e tangibili.
Il mio secondo pensiero, al quale ci richiama la ricorrenza stessa, è per le forze armate, che ringraziamo come sempre non solo per la presenza qui oggi, ma per l’instancabile lavoro al servizio della pace e della convivenza civile tra i popoli del mondo.
“Guardiane della pace”, così ho definito lo scorso anno le forze armate: una definizione che ribadisco, così come rinnovo il ringraziamento alle forze dell’ordine, alla Prefettura, alla Questura e alla polizia locale per il loro lavoro quotidiano sul territorio.
Ricorrenze istituzionali come questa, sono anche l’occasione per alzare lo sguardo e osservare il mondo, per verificare in quali condizioni si trova quella creatura fragile che ha il nome di pace.
Le condizioni, inutile dirlo, non sono buone. Negli occhi e nelle orecchie abbiamo le notizie che arrivano da nord della Siria, dove in questi giorni la situazione appare stazionaria dopo drammatiche settimane di scontri.
Lo scorso 12 ottobre ho voluto personalmente rivolgere un appello alla città. Abbiamo seguito da vicino le iniziative della Parrocchia di San Michele Arcangelo e condiviso la presa di posizione delle organizzazioni sindacali.
Ma la verità è che fino a quando le logiche che muovono i capi di stato e di governo resteranno quelle della prevaricazione sull’altro, della supremazia territoriale e dell’interesse nazionale, ci sarà ben poco da fare.
Ben poche speranze avranno i popoli, come quello curdo, che generosamente si sono impegnati nella battaglia contro il cosiddetto Stato Islamico, per poi vedersi negare il diritto a un livello minimo di autonomia democratica.
Ben poche speranze avrà il popolo libico, che aspira a un futuro di pace mentre continua ad essere dilaniato da una guerra civile che va avanti da oltre cinque anni, senza che all’orizzonte si intraveda una soluzione.
Che dire poi delle guerre intestine in Ucraina e Yemen, scenari sui quali l’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale è andata via via scemando, nonostante la gravità degli avvenimenti?
Completano il quadro le tensioni crescenti che attraversano tutto il pianeta, arrivando a creare le condizioni per scontri a bassa intensità o addirittura a sfiorare il conflitto aperto.
Le situazioni più critiche in questo senso sono il contrasto tra India e Pakistan per la regione contesa del Kashmir e quello tra Iran e Stati Uniti, con il presidente Trump che avrebbe ordinato e poi revocato un attacco militare diretto nella notte tra giovedì 20 e venerdì 21 giugno.
Questo elenco breve e non esaustivo ci racconta di un mondo dove lo scontro è ritenuto uno strumento utile, quando non privilegiato, per conseguire gli obiettivi di politica estera. Dove l’opzione militare è considerata ammissibile, se non addirittura auspicabile, per risolvere le controversie internazionali.
Di fronte a questo scenario, apparentemente immutabile nel corso dei decenni e dei secoli, vengono in mente le celebri parole scritte da Clausewitz nel suo altrettanto celebre trattato, intitolato “Della Guerra”:
“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.
Si tratta di parole spesso citate nei contesti più diversi. Ma è bene ricordare anche che si tratta di parole scritte nella prima metà dell’Ottocento, da un generale di un Paese che non esiste nemmeno più: la Prussia.
Dopo quasi duecento anni, due guerre mondiali e un’infinità di altri conflitti che è quasi imbarazzante definire minori, forse è arrivato il momento di rifiutare parole come queste, e soprattutto la logica che le ha generate.
Ma probabilmente non siamo ancora pronti, perché la strada da fare è ancora tanta. Per questo è ancora più importante continuare a lavorare sulla conoscenza e la memoria, con l’aiuto di tutti i soggetti attivi del territorio.
Consentitemi quindi un ulteriore ringraziamento alle associazioni combattentistiche, rappresentate dal nostro cerimoniere Werter Paesini, agli istituti culturali, alle scuole e alle tante realtà associative locali.
Insieme, proseguiamo il nostro cammino ideale verso un futuro di pace, che in anni come questi assomiglia sempre di più a un’utopia. Ma vorrei provare a concludere con un messaggio di speranza, che affido alle parole dello scrittore Eduardo Galeano.
“L’utopia è all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve allora l'utopia? Serve proprio a questo: per continuare a camminare”.
Grazie a tutti.
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Ultimo aggiornamento: 27 agosto 2024, 14:21