Descrizione
Oggi celebriamo, purtroppo soltanto con un’azione simbolica, la Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate, nonché l’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale (4 novembre 1918).
Nello scenario desolante che ci troviamo di fronte a causa della pandemia, questa ricorrenza può dirci tanto se ci soffermiamo sui principi che ne sono alla base, e che ci sprona a mettere in pratica anche e soprattutto ora.
Prima di tutto, c’è un sentimento di unità. Nazionale, certo, nei confronti di una comunità allargata di persone con cui condividiamo tanto, tutti i giorni. Ma non solo: unità in questo momento significa solidarietà a tutti i livelli, locale come internazionale, perché se c’è qualcosa che questa pandemia ci ha insegnato è che il virus non fa alcuna distinzione.
Essere uniti, ora più che mai, è necessario non soltanto nel rispettare le misure stabilite dal Governo e dalle altre istituzioni, ma anche e soprattutto nella volontà di aiutarsi a vicenda, trovando nuove strade e nuove idee nel momento in cui molte di quelle tradizionali sono precluse a causa dell’impossibilità di incontrarci.
In secondo luogo, questa ricorrenza evoca un senso di gratitudine. Il destinatario immediato di questa gratitudine sono le forze armate, che continuano a svolgere il loro compito di “guardiane della pace” in diversi Paesi del mondo, mentre in Italia collaborano con le forze dell’ordine nell’effettuare i controlli sull’applicazione delle misure così necessari in questo momento.
Proprio alle forze dell’ordine, alla Prefettura, alla Questura e alla Polizia locale vorrei estendere questo ringraziamento ideale, in un momento che sta impegnando tutti al limite delle rispettive possibilità.
Una parola di gratitudine, infine, la meritano medici, infermieri e personale sanitario in generale, su cui in questi mesi abbiamo sentito tanta retorica ma che restano comunque i capisaldi su cui poggia la nostra resistenza nella tempesta che stiamo attraversando.
Il terzo principio che questa ricorrenza ci invita a sostenere, dato che ricorda la fine di una guerra, è quello della pace. Perché se c’è una cosa che sembra non temere affatto l’impatto del Covid-19, quella è proprio la guerra.
L’ultimo scenario a richiamare la nostra attenzione in ordine di tempo è quello del Nagorno-Karabakh, regione contesa tra Armenia e Azerbaijan in un conflitto che non nasce oggi e difficilmente potrà essere risolto in tempi brevi.
Ma anche nel resto del mondo è come se la pandemia avesse eroso ancora di più i margini già ristretti per una soluzione pacifica delle controversie, visto che in Europa sono ripresi gli attentati terroristici e si moltiplicano gli scontri aperti tra capi di Stato.
Anche e soprattutto in un momento come questo, invece, dovremmo trovare la lucidità e la forza per capire che la violenza non è la risposta ai problemi, ma che solo attraverso il dialogo è possibile uscire dalle situazioni più critiche.
Unità solidale in questo momento di difficoltà, gratitudine nei confronti di chi sta lavorando per noi dentro e fuori dal nostro Paese, pace come valore di riferimento nella soluzione dei conflitti a tutti i livelli.
È questo il messaggio che mi sento di dare, nel solco indicato dai valori di questa ricorrenza, in occasione di questo IV Novembre che non abbiamo potuto celebrare come avremmo voluto a causa dell’emergenza sanitaria.
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Ultimo aggiornamento: 27 agosto 2024, 14:25