Descrizione
Oggi ci ritroviamo, come ogni anno, per ricordare insieme Rino Molari e le altre 66 vittime dell’eccidio di Fossoli, fucilate dai nazifascisti il 12 luglio 1944 nel campo di concentramento che si trova a Carpi.
Domenica scorsa ho partecipato, insieme a una delegazione dell’ANPI, alla commemorazione che si è svolta proprio a Fossoli, alla presenza del vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans.
La sua partecipazione arriva dopo che, nel 2021, erano intervenuti a Fossoli la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e l’allora presidente del Parlamento europeo, il compianto David Sassoli.
Questi segnali di attenzione da parte dell’Unione europea nei confronti dell’eccidio nazifascista dovrebbero farci riflettere su quanta storia abbiano in comune i Paesi europei, e su quanto sia fondamentale conoscere le vicende storiche del continente per essere cittadini più consapevoli.
L’ignoranza o la superficialità rispetto alla storia, infatti, producono fenomeni pericolosi, come ad esempio la banalizzazione del ruolo che ha avuto il fascismo sullo sviluppo del nostro Paese.
Lo ha detto molto bene in un’intervista nei giorni scorsi lo storico Emilio Gentile, ricordando che la “defascistizzazione del fascismo” è cominciata nel dopoguerra, quando il regime iniziò a essere dipinto come “involontariamente autoritario”, capace di favorire la modernizzazione dell’Italia, finito sulla cattiva strada solo con le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei.
Una defascistizzazione che perdura, aggiunge Gentile, “quando si ignora la realtà di un regime che manifestò la sua novità totalitaria fin dal principio”, dipingendo il fascismo come una dittatura da operetta.
Partendo da questo presupposto basilare, la sfida diventa quella di capire in quale veste torna a manifestarsi oggi quello che Umberto Eco definiva “il fascismo eterno”, e che lui stesso affermava non si sarebbe ripresentato con la camicia nera.
Un aiuto in questo senso ci arriva da Antonio Scurati, lo scrittore che ha vinto il premio Strega con il romanzo “M – Il figlio del secolo”, riuscendo nell’impresa non facile di raccontare il fascismo dal punto di vista dei fascisti.
Scurati sostiene, e non è certo il primo, come l’eredità politica del fascismo sia da ricercare oggi nel populismo, un modo di intendere il consenso che riproduce gli stessi meccanismi plebiscitari dei totalitarismi novecenteschi, azzerando ogni confronto o riflessione critica.
A ben vedere, non era esattamente questo che perseguivano anche i nazifascisti con l’eccidio di Fossoli, perpetrato per spegnere sul nascere una futura classe dirigente illuminata e democratica, quando ormai la sconfitta sul terreno bellico si mostrava inevitabile?
È chiaro che oggi il meccanismo è molto più sottile: del resto non c’è, almeno nel nostro Paese, una guerra in atto che possa giustificare il ricorso all’uso della violenza.
Ma la tacitazione del dissenso, la normalizzazione di opinioni e punti di vista aberranti e indifendibili ai più alti livelli istituzionali, non possono che condurci verso una situazione analoga, dove alla violenza fisica si sostituisce quella verbale, culturale, intellettuale.
Alla parola intellettuale vorrei dare particolare rilievo, perché questo era in fondo Rino Molari: insegnante, antifascista, una mente pronta a immaginare un mondo diverso da quello che la dittatura aveva imposto.
Molari ha pagato il prezzo più alto per la sua libertà: in un attimo ha perso la vita, il futuro insieme a sua moglie e la possibilità di veder crescere suo figlio Pier Gabriele, che in quel 1944 era soltanto un bambino.
Pensando a chi ha dovuto subire un simile destino è normale commuoversi, provare tristezza e rabbia nei confronti dei suoi assassini. Ma è doveroso non fermarsi qui, e trasformare questa indignazione nel motore del nostro agire pubblico, nella capacità di vedere e disinnescare i meccanismi che dicevamo.
Per questo il mio invito è prima di tutto a ricordare, ringraziando chi è qui con noi oggi a condividere questo momento di commemorazione, ma anche a farsi carico della responsabilità alla quale questo eccidio ci richiama.
Resta valido, a oltre cento anni di distanza, l’appello di Antonio Gramsci a prendere parte, a superare l’indifferenza e parteggiare, ogni giorno, per i valori nei quali ci riconosciamo.
Valori di libertà, pace, democrazia e uguaglianza, nei quali credeva anche Rino Molari, che oggi vogliamo ricordare non soltanto per la sua morte, ma soprattutto per l’esempio che ci ha dato con la sua vita.
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Ultimo aggiornamento: 27 agosto 2024, 14:40