Descrizione
La ricorrenza che commemoriamo oggi, il Giorno del Ricordo, ci invita a conoscere un insieme complesso di vicende storiche e tragedie umane legate al confine orientale italiano. Dagli esuli giuliano-dalmati alle vittime delle foibe, questa data è l’occasione per scoprire una pagina meno nota della storia italiana ed europea, composta da vicende diverse ma strettamente legate tra loro.
Al dramma dell’esodo abbiamo dedicato l’incontro, che si è svolto nella serata di ieri in biblioteca Baldini, di presentazione del volume a fumetti “Palacinche. Storia di un’esule fiumana”. Si tratta di una storia davvero bella e significativa, alla portata di tutti, che vi invito a recuperare e leggere, da soli o insieme ai vostri genitori o alle vostre insegnanti.
Nel libro – come ci ha spiegato l’autrice Caterina Sansone – si racconta la storia di sua madre Elena, che a soli otto anni è costretta a fuggire dalla città di Fiume (oggi Rijeka) insieme alla sua famiglia. Una fuga necessaria perché, dopo la guerra, quella parte di territorio è passata dall’Italia alla Jugoslavia e la vita, già difficile per le dure condizioni del dopoguerra, è ancora più complicata per una famiglia italiana.
Ma all’arrivo nel nostro Paese le cose, per la famiglia di Elena, non vanno come sperato: dopo una breve sosta a Trieste, lei, sua sorella e i suoi genitori vengono trasferiti prima in una tendopoli a Palermo, poi in una baracca a Napoli, dove vivranno per molti anni in attesa di un vero alloggio. La loro condizione è quella di profughi, e dei profughi vivono le stesse condizioni: precarietà, insicurezza, scarsa accettazione da parte delle popolazioni locali.
Oggi nel mondo, secondo i dati delle Nazioni Unite, ci sono più di 82 milioni di profughi: pensate, più degli abitanti di tutta l’Italia, costretti ad abbandonare le loro case a causa di persecuzioni, guerre, violenza, violazioni dei diritti umani. Di questi, 48 milioni sono sfollati interni, ovvero persone che hanno dovuto lasciare la propria città ma sono rimasti nel Paese d’origine: una situazione simile, anche se non del tutto uguale, a quella di Elena e della sua famiglia.
Questo deve farci riflettere sulle conseguenze più concrete, per le persone comuni, dei conflitti e degli eventi drammatici che spesso leggiamo tra le notizie o ascoltiamo dalla televisione. Ognuno di questi fatti, anche quelli apparentemente più piccoli e lontani, genera vittime, costringe persone e famiglie intere a cercare riparo in città o Paesi vicini per trovare quel minimo di sicurezza e libertà su cui non potrebbero contare se restassero dove sono.
Da quasi un anno assistiamo a una guerra tremenda, nel cuore dell’Europa: quella tra Russia e Ucraina, che ha causato la fuga di oltre 7 milioni di persone, di cui più di 200mila si trovano in Italia. L’anno scorso, in questa stessa data, eravamo qui a sperare che i due Paesi non andassero oltre, che la guerra non cominciasse. Qualcuno ci aveva anche criticati, perché lo scoppio di un conflitto sembrava improbabile.
E invece, due settimane dopo, era cominciata la guerra. Una guerra per i confini, che richiama molto da vicino le vicende del confine orientale italiano, cominciate all’indomani della prima guerra mondiale e proseguite fino al dramma collettivo dell’esodo negli anni ’50.
Ma in questi giorni abbiamo negli occhi anche un’altra tragedia che ha causato vittime a migliaia e costringerà i sopravvissuti ad abbandonare quel che resta delle proprie case. Parlo del terremoto in Turchia e Siria, in una terra anch’essa di confine martoriata da anni di guerra, che ora deve affrontare le conseguenze di un disastro naturale di proporzioni immani.
Di fronte a una simile sofferenza la comunità internazionale si sta muovendo unita per portare aiuti, ma non è sempre così. Ogni giorno, ovunque nel mondo, milioni di profughi e rifugiati sono abbandonati al loro destino. Questo per dire che la lezione che ci insegna il Giorno del Ricordo è senza tempo: ci dice che dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che ci siano persone costrette a fuggire e abbandonare la propria casa.
Ci dice che non devono esistere ragioni etniche, politiche o religiose che portano alla discriminazione, all’odio, alla volontà di escludere, allontanare o peggio eliminare le altre persone solo perché sono diverse da noi. Purtroppo basta poco per dividere i popoli, le comunità, persino le famiglie, specialmente in periodi e condizioni difficili, dove è necessario lottare ogni giorno per la propria sopravvivenza.
Ma basta poco anche per unire. E questo ce lo insegna molto bene il fumetto presentato ieri sera in biblioteca, dove un dolce della regione istriana diventa terreno comune d’incontro tra croati e italiani. Sono le palacinche del titolo, una specie di crepes caratteristica della zona di Fiume: una parola che ha lo stesso suono in croato e in italiano, e che ci ricorda il potere delle piccole cose nel creare ponti tra le persone.
Trovo straordinario e significativo che l’autrice abbia scelto una ricetta come simbolo per raccontare la storia di sua madre, esule, che sicuramente ha comportato tanta sofferenza a lei e alla sua famiglia. Perché ci dà una lezione importante: che è nostro compito, sempre, lavorare per unire, impegnarci per la conoscenza e il dialogo tra le persone, fare tutto il possibile per affermare la pace.
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Ultimo aggiornamento: 27 agosto 2024, 14:43