Intervista a Daniela Palmieri
Intervista a Daniela Palmieri
Ultima modifica 2 marzo 2024
“Avere la possibilità di aprire un luogo tutto nostro ci ha permesso di realizzare uno spazio sicuro, piacevole e riservato. Abbiamo scelto con cura la sede, in modo che non fosse troppo visibile: la privacy nelle circostanze di cui ci occupiamo è fondamentale. In più – e questo è molto importante – ora possiamo offrire una maggiore disponibilità oraria. Garantiamo il servizio legale due volte al mese su appuntamento e il supporto psicologico quando necessario. Ci tengo però a sottolineare che la figura centrale è quella dell’operatrice. Le operatrici sono persone formate per rispondere alle richieste delle donne con l’obiettivo di offrire loro gli strumenti per tornare o diventare autonome, emancipandosi da ogni vincolo. Vogliamo che si stabilisca un rapporto alla pari: alle donne non serve incontrare qualcuno che per l’ennesima volta dica loro cosa fare, cosa pensare, come comportarsi. Incontriamo anche donne che scelgono di non denunciare o di non separarsi, o che magari maturano la decisione in un altro momento, in un altro modo. Va bene comunque. Tutte, qui, devono sentirsi libere”.
In che misura, sul territorio, si verificano e riscontrate episodi di violenza?
“Temo che la violenza di genere riguardi tutte le realtà, anche le più piccole. È un problema congenito dell’Italia e di tanti altri Paesi. Credo però che a Santarcangelo ci sia una mentalità più aperta e pronta a chiedere aiuto. L’anno scorso abbiamo incontrato 54 donne, che non sono poche: non perché i casi di violenza o disagio siano più frequenti che altrove, ma perché c’è una buona disponibilità al confronto. Io penso che conti anche il contesto culturale, la vivacità di un territorio, le proposte che esso offre: il teatro, la poesia aprono le menti e gli orizzonti, permettono di confrontarsi con temi che nella quotidianità difficilmente si toccano. Inoltre esiste una rete di associazioni molto attiva con la quale noi stesse possiamo relazionarci, migliorando il nostro servizio”.
Quali sono le richieste che ricevete più di frequente?
“Il caso tipico è quello della donna che subisce violenza dal marito o dal compagno, tenendola inizialmente nascosta. Lo spartiacque di solito è il passaggio alla violenza fisica, anche se quando le donne arrivano da noi spesso si è già verificato più di un episodio. È importante sottolineare che la prima forma di violenza è il controllo. Bisogna tracciare una linea di confine tra gelosia e violenza. Finché sei libera di scegliere, va bene. Se non puoi più scegliere c’è un problema. Mi fa piacere che le giovanissime si rivolgano spesso al nostro Centro, anche soltanto per informarsi, per capire dove collocare, nella propria vita quotidiana, questo limite che non deve mai essere superato”.
Quali tendenze avete osservato durante il periodo del lockdown?
“Il primo periodo è stato molto inquietante perché il centralino era muto. Silenzio assoluto. In base alla nostra esperienza sappiamo che questo non è un buon segno. Nelle famiglie con situazioni critiche la convivenza forzata ha eliminato per alcune donne ogni margine di libertà. Poi le telefonate sono ripartite e il numero è cresciuto, soprattutto in estate. In questo periodo abbiamo ricevuto prevalentemente richieste di supporto psicologico per riuscire a gestire la complessa situazione causata dalla pandemia. Al contempo, purtroppo abbiamo anche registrato casi molto più pesanti, con episodi di violenza fisica grave. Ne abbiamo discusso, e crediamo che in quel periodo le situazioni in cui era già presente una violenza psicologica o una forma di violenza lieve, se così si può dire, siano degenerate”.
Qual è secondo lei l’origine della violenza sulle donne?
“L’origine è da ricercare in una società ancora fortemente centrata su una cultura maschilista, dove la donna è un accessorio. Non la si ascolta veramente. Non è ancora importante quello che dice. Le offese, inoltre, riguardano spesso la sessualità e il corpo. E purtroppo anche le donne portano avanti questo modello. Noi proviamo a lavorare su ogni fronte per generare un cambiamento di mentalità. Credo che la formazione sia fondamentale, e fortunatamente i giovani sono più propensi a mettersi in discussione. La consapevolezza sta aumentando”.
Avete identificato delle categorie che risultano maggiormente colpite, oppure l’incidenza è trasversale?
“Assolutamente trasversale. Incontriamo la donna colta, la manager in carriera così come la casalinga. La fascia di età prevalente è quella compresa tra i 30 e 40 anni, ma ci sono anche tante donne anziane che subiscono violenza da parte del partner o dei figli adulti che tornano a vivere con le madri dopo una separazione. Le giovanissime sono curiose e aperte di mente, mentre con le donne straniere spesso incontriamo difficoltà a livello linguistico, per cui i corsi di lingua diventano un canale importante per poter intervenire”.
Al Centro antiviolenza “Marielle” è stato assegnato l’Arcangelo d’oro 2021. Come avete vissuto questo riconoscimento?
“Ci siamo messe a piangere dalla commozione. Veniamo da un periodo nel quale, come tutti, abbiamo dovuto spostare molte attività online, rinunciando agli incontri di persona, limitando al minimo il contatto umano. Ritrovarci tutte insieme per ricevere il premio è stato emozionante e gratificante”.
Cosa direbbe a una donna che è vittima di violenza o si sente controllata, ma ha paura di esporsi?
“Vorrei rassicurarla dicendole che può telefonarci e incontrarci in forma completamente anonima e gratuita. Noi non prenderemo nessuna decisione al posto suo, non la obbligheremo a sporgere denuncia né contatteremo gli assistenti sociali. Può contattarci anche solo per un incontro, senza alcun impegno. E se non ha subito violenza fisica, non deve temere di portare via il posto a casi più gravi. Vogliamo che ogni donna si senta libera di contattarci anche per un piccolo dubbio. Solo in questo modo, confrontandoci su quello che ci succede in prima persona, possiamo cambiare mentalità e cultura”.