Intervista a Lorenzo Gasparini

Intervista a Lorenzo Gasparini

Ultima modifica 2 marzo 2024

Quando sport significa inclusione: l’esperienza di AG23
Dal baskin alla squadra di atletica, l’associazione sportiva santarcangiolese propone attività che mettono tutti sullo stesso piano. Il racconto dell’allenatore Lorenzo Gasparini
“In campo siamo tutti uguali: basta inventare nuove regole per giocare insieme”. Lorenzo Gasparini istruttore dell’associazione sportiva culturale dilettantistica AG23, che propone corsi per persone disabili e non. Dopo una breve pausa durante la pandemia, la palestra ha ripreso le sue attività per garantire piena partecipazione e inclusione.
Qual è l’obiettivo dell’associazione sportiva AG23 e che attività propone?
“L’associazione AG23 propone corsi sportivi rivolti a tutti e cura le attività del centro estivo. Io sono un educatore, ma sono laureato in Scienze Motorie. In questo contesto unisco entrambi gli aspetti della mia formazione, perché tramite lo sport lavoriamo sull’inclusione. In dieci anni abbiamo coinvolto decine di ragazzi e di famiglie. Proponiamo corsi di danza, breakdance, rollerblade, gioco motricità per bambini, multi sport e attività motorie di ogni genere senza barriere. Alcuni corsi sono studiati per rispondere in modo specifico a determinate esigenze, come la nostra squadra di atletica per ragazzi con disabilità intellettive, della quale siamo molto orgogliosi. Siamo partiti in quattro, ora abbiamo 25 partecipanti. Nella maggior parte dei casi, invece, persone con disabilità e non si allenano e giocano insieme”.
 
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In che modo lo sport può favorire l’inclusione?

“I ragazzi con disabilità hanno poche possibilità per potersi esprimere e per mostrare quanto valgono. Il bello dello sport è che mette tutti sullo stesso piano. È un mezzo che permette ad ogni persona di sentirsi valida e considerata, di raggiungere l’autonomia e di migliorare la propria autostima. Ne sono un esempio gli Special Olympics, i Giochi Olimpici Speciali dedicati a persone con disabilità intellettive, ai quali partecipiamo da alcuni anni con la nostra squadra di atletica. Un’associazione internazionale che mette al centro la persona e utilizza lo sport per raggiungere obiettivi di inclusione. Tutti ottengono una medaglia, perché viene valorizzato l’impegno. Noi siamo mossi dallo stesso spirito e ci muoviamo in questa direzione. Ora ci stiamo preparando ai giochi regionali che si terranno a maggio a Cesenatico: i ragazzi non vedono l’ora, dopo il periodo di forzata inattività a causa del Covid. In più, dall’anno scorso abbiamo dato vita, in collaborazione con la Santarcangiolese Basket, alla prima squadra di baskin: uno sport costruito sugli stessi principi del basket ma nel quale giocano insieme persone disabili e normodotate. È la dimostrazione che si trova sempre il modo per collaborare insieme, se lo si vuole”.

Com’è cambiata la vostra attività durante i lockdown e dopo il Covid?

“Con l’arrivo del Covid abbiamo dovuto interrompere tutte le attività. Questo per noi è stato un grosso problema, specialmente pe quanto riguarda lo sport con i ragazzi disabili.  Per loro il movimento è centrale, è importantissimo. È un’occasione di relazione, della quale sono stati temporaneamente privati. Abbiamo cercato di mantenere il contatto tramite videochiamate e incontri online, che naturalmente non sono la stessa cosa. Poi per fortuna siamo riusciti a ripartire già da maggio 2020 con l’atletica all’aperto e subito dopo con il centro estivo, strutturato però in modo molto diverso. La nostra forza è il gruppo, ma in queste circostanze abbiamo dovuto organizzare i partecipanti in piccoli gruppetti per rispettare le norme di sicurezza. Siamo comunque riusciti a portare avanti un buon lavoro, concentrandoci in modo più mirato sulla relazione tra le singole persone”.

Come si articola l’attività del centro estivo?

“A differenza dei corsi pomeridiani, il centro estivo è una vera e propria esperienza a tutto tondo: dormiamo una notte fuori, con i più piccoli organizziamo un pigiama party, per i più grandi la tendata. Questi momenti condivisi generano un impatto molto forte e permettono di instaurare una relazione vera e profonda. Anche qui, naturalmente, ci sono ragazzi con e senza disabilità. Ma la differenza non si percepisce. Il nostro obiettivo è che siano i bambini stessi, già da molto piccoli, a pensare a come adattare le attività in modo che siano accessibili a tutti, a cambiare le regole, a inventare modi nuovi per rendere tutti partecipi. È questa la vera rivoluzione. Non siamo noi che diciamo loro come fare, a fornire istruzioni. In questo modo i bambini si responsabilizzano e crescono con una mentalità flessibile e aperta”.  


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